Percorsi di politica, cultura, economia, Anno III, Febbraio 1999

The following was originally written for Modern Age as a review essay of Richard Lebrun's biography, translations, and critical studies of Joseph de Maistre. It was translated and annoted by Marco Respinti and Giovanni Vella for the Italian journal Percorsi and appeared in an issue commemorating the fall of the Jacobin regime in Naples in 1799, the "Parthenopean Republic."

Further down there is an "honorable mention" of the essay by a hoary old Marxist named Angiolo Gracci.

Click here for the English text (my 1996 Modern Age article, "A Joseph de Maistre Revival").

Return to TJJ's home page.

Saturday, July 31, 2010

L'incorreggibile Joseph de Maistre

(Il saggio di T. John Jamieson qui presentato in traduzione italiana nasce sulle pagine di «Modern Age» come ampia recensione di opere di argomento maistriano pubblicate in lingua inglese. Sul periodico statunitense à comparso nell'autunno 1996 (vol.38 n. 4) con il titolo A Joseph de Maistre Revival. «Modern Age»—fondato nel 1957 a Chicago dallo storico delle idee statunitense Russell Kirk (1918-1994) e oggi diretto dal critico letterario George A. Pànichas—è considerato il periodico più significativo della Destra culturale nordamericana. [MR & JMV])



Percorsi di politica, cultura, economia, Anno III, Febbraio 1999

Nel 1809, John Quincy Adams era ambasciatore degli Stati Uniti presso la corte dello zar a Sanpietroburgo. Fra i suoi colleghi, spiccava la figura dell'ambasciatore del Regno — la formula conserva un'eco provinciale — di Sardegna. Questi, osservava Adams, era «un uomo intelligente e vivace nella conversazione» così come un cattolico devoto «con tutti i pregiudizi tìpici della sua confessione».

Figlio dell'Illuminismo [nota 1], Adams era scioccato dal fatto che quell'uomo «detestasse» John Locke e che lo accusasse di essere il promotore della filosofia materialistica che aveva corrotto la Francia del XVIII secolo.

Questo diplomatico reazionario, che nutriva opinioni astrise sulle «idee innate» e su Dio quale «luogo» delle anime (così come lo spazio è il luogo dei corpi), era il famoso conte Joseph de Maistre (1753-1821), un uomo che ancora oggi sconcerta chi si occupa di storia del pensiero politico. Benché ad Adams apparissero antiprogressiste, le concezioni maistriane non erano affatto pregiudizi di parte, ma convinzioni fondate razionalmente. Resta il fatto, però, che Maistre non ha mai ottenuto il riconoscimento che meriterebbe quale scudo filosofico e politico contro la deformazione spirituale moderna, ovvero quale solitario bastione del sapere classico e dell'ortodossìa religiosa.

Persino Irving Babbitt [nota 2] ha descritto Maistre come un semplice contro-philosophe dotato di «poca sensibilità nei confronti della vita interiore», ovvero un uomo a cui faceva difetto la consapevolezza del fatto che quella gerarchia sociale che è patrimonio della concezione cristiana delle cose deve essere raggiunta attraverso l'umiltà e la carità piuttosto che mediante «la severità di un'autorità esterna» [nota 3]. Babbitt riecheggia i giudizi classici di stimatissimi critici liberali quali Morley e Sainte-Beuve. In verità, «la severità di un'autorìtà esterna» era tutto quanto potevano scorgere nella posizione di Maistre gli ideologi dell'Action Française (come l'«ateo cattolico» Charles Maurras) quando ne invocavano l'autorità descrivendo la propria posizione attraverso l' elencazione di nomi di pensatori antidemocratici. Edmund Wilson, letterato modernista che confessava la propria stanchezza nel vedersi Maistre «sbattutto addosso così spesso quale antidoto al radicalismo moderno», ha affermato che «nel momento in cui gli uomini di lettere fortemente pressati dai tempi, iniziano a sentire il bisogno di trasformarsi in reazionari, è probabile che si dedichino a Joseph de Maistre» [nota 4]. Il maggiore dei problemi che Maistre pone ai propri interpreti prosaici è rappresentato dal suo atteggiamento deliberatamente provocatorio. In quelle istituzioni autoritarie che i liberali progressisti odiano, egli scorge dei paradossi rivelatori che poi ostenta con tono di sfida. È così che ha origine la caricatura del conte che venera «il pontefice sovrano temporale», l'Inquisizione e il boia di Stato quali pilastri essenziali della civiltà occidentale. Sono stati i «philosophes» del Settecento, però—accusa Maistre—, ad aver praticato metodi inquisitori nel campo letterario e, dando loro credito, persino il grande Montesquieu ha preteso di credere in un mitico «stato di natura» antecedente un mitico «contratto sociale». Maistre paga ancora oggi per aver osato porre interrogativi vietati.

In uno sconnesso saggio di ottantatré pagine intitolato «Joseph de Maistre e le origini del fascismo» (accolto nel volume Il legno storto dell'umanità), Sir Isaiah Berlin infiora la caricatura: Maistre è un irrazionalista in religione, un pessimista radicale per quanto riguarda la natura dell'uomo, un nominalista altrettanto radicale in filosofìa, un moderno avvocato del totalitarismo in politica, un teorico del complotto e persino un uomo che odia gl'immigrati e i profughi (un nemico degli «spostamenti dell'umanità»). È Calvino, Kierkegaard, il Marchese de Sade, Nietzsche, Stalin e B. F. Skinner, ognuno nei suoi aspetti meno piacevoli e tutti appallottolati in uno. Egli è il Grande Inquisitore di Dostoevskij, che intenzionalmente giustizierebbe il Cristo ritornato. [nota 5]

Richard A. Lebrun presenta invece un conte totalmente diverso: «un dotto magistrato, per molti versi partecipe della tradizione che fa capo a Montesquieu, un uomo aperto alle tendenze intellettuali e sodali dei suoi tempi» quantunque «profondamente turbato» dalla Rivoluzione francese. I saggi di Lebrun accolti in Maistre Studies ritraggono il conte come un pensatore giusnaturale e come un realista classico [nota 6]. In Considerazioni sulla Francia, si scopre un Maistre difensore dell' «antica costituzione francese» dei parlements, non del dispotismo e dell'autocrazia [nota 7]. Nella biografìa dedicata al conte da Lebrun, ci s'imbatte in un giurista capace di far infuriare i propri superiori del Regno di Sardegna perché preferisce la supremazia del diritto (rule of law) al governo militare, nonché in un ambizioso statista di respiro internazionale mosso dalla pietà e dall'onore familiari e dall'amore verso la fede cattolica [nota 8]. E Le serate di Sanpietroburgo rivelano un Maistre profondamente agostiniano che concepisce l'uomo quale interazione d'intelletto, libero arbitrio e passioni, ovvero l'uomo come sublime creatura capace di virtù attraverso la mortificazione interiore e perfezionabile dalla conoscenza di Dio addirittura in questa vita [nota 9].

In parte, le eccellenti traduzioni, i saggi e la biografia estremamente obiettiva del conte realizzate da Lebrun sono il prodotto di un recrudescenza o rinascimento, un revival che in Francia ha comportato l'edizione scientifica di diverse opere di Maistre e, da diversi anni, della «Revue des études maistriennes». I discendenti del conte, che ne hanno gelosamente preservato la memoria, stanno finalmente aprendo gli archivi di famiglia agli studiosi. Forse questo revival indica pure l'affermarsi di ambienti conservatori ortodossi dal punto di vista cattolico in opposizione agl'integralisti della Nuova Destra francese.

Lebrun, professore di Storia all'Università di Manitoba, ha iniziato l'indagine maistriana nel 1965 pubblicando la propria tesi con il titolo Throne and Altar [nota 10]. La biografìa che egli dedica al conte, basata su ricerche d'archivio originali e comprendente lunghi estratti dalle lettere del diplomatico savoiardo, offre un'introduzione di ampio respiro e di facile approccio all'uomo Maistre come figlio autentico della sua famiglia e del suo paese: cioè di una famiglia che beneficiava della mobilità sociale tipica del regime pre-rivoluzionario, nonché di un Paese (Savoia-Piemonte-Sardegna) che, piuttosto arretrato e culturalmente diverso, si trovava instabilmente incuneato fra le potenze europee.



I PENITENTI NERI

Il bisnonno del diplomatico era stato un ricco commerciante di abiti a Nizza, suo nonno un avvocato, suo padre lo stimato giudice che aveva riformato il codice giuridico della Savoia e che era divenuto il primo conte de Maistre coll'addizione della particola nobiliare. Figli fedeli della Chiesa, i Maistre maschi appartenevano a una confraternità religiosa laica, i pénitents noirs, che offriva assistenza ai criminali condannati e i cui mèmbri sfilavano in processione nella capitale savoiarda portando cappucci neri e intonando salmi. Joseph venerava il padre in maniera incondizionata. Nel proprio diario, a quindici anni scrisse: «Quando, a causa di qualche grande disgrazia, mio padre mi verrà sottratto, spero con tutto il cuore che mi sia permesso, come fosse un egiziano, d'imbalsamarne il corpo e di tenerlo con me»; per lui, quell'usanza egiziana era «la rocca estrema dell'amore filiale».


Il fratello di Joseph, Xavier, romanziere, divenne generale nell'esercito russo, mentre un altro fratello venne nominato vescovo di Aosta. Si trattava di una famiglia stimata al punto da spingere il poeta Lamartine a millantare relazioni con essa. All'età di sedici anni, Joseph ereditò la ben fornita biblioteca del nonno materno e divenne un vorace consumatore di letteratura europea (specialmente inglese). Culturalmente francese, Maistre non visitò Parigi che all'età di sessantaquattro anni: seguendo le orme del padre negli studi giuridici e poi progredendo fino a ricoprire le cariche di ambasciatore e di ministro di Stato, servi i despoti italiani i cui discendenti Garibaldi metterà sul trono dell'Italia unita. Nel corso dei quattordici anni trascorsi in Russia divenne consigliere dello zar Alessandro I e, da tanto lontano, fu uno dei maggiori sostenitori del casato dei Borbone. Se non avesse ritenuto che cercando di trascendere le identità nazionali e regionali l'uomo compromette la propria umanità, Maistre avrebbe potuto proclamarsi un vero e proprio europeo.

Non fu mai, comunque, un rappresentante sradicato e alienato del proletariato intellettuale di Parigi.

Fino a trentanove anni, Maistre avvocato e giudice succedendo in giovane età al padre nel seggio che questi occupava nel Senato giudicante di Savoia e tornando solo più tardi all'opera paterna di riforma dei codici giuridici del regno. Originariamente un parlement di provincia, quel Senato si trasformò in un consiglio di magistrati supremi e di pubblici ministeri, e assunse funzioni sia legislative che giudiziarie; per questa ragione Maistre non aveva alcun motivo per considerare la dottrina della «separazione dei poteri» come l'ultima parola in materia di scienza politica.

Dai suoi scritti è possibile che il rispetto da lui tributato al diritto inteso come sviluppo organico e come fondamento peraltro imperfetto della civiltà non risulti immediatamente percepibile. Ciò che egli combatteva era peraltro solo l'utopistico progetto dell'Illuminismo di stalare leggi perfette e costituzioni universali. In Considerazioni sulla Francia egli afferma che, data l'imperfezione delle leggi umane, la moltiplicazione delle norme di diritto positivo non fa che moltiplicare l'imperfezione, notando con ironia come in cinque anni l'Assemblea Nazionale di Francia avesse approvato ben quindicimila leggi. Si può dunque supporre che quanto egli gradiva in pensatori del Settecento quali Montesquieu e Vico fosse il loro apprezzamento della multiformità umana (espressa nella varietà dei regimi politici) e il loro opporsi al riduzionismo illuministico. Per quel secolo, delle eccezioni.

Quando lo scempio rivoluzionario percorse la Savoia nel 1792, Maistre riparò all'estero; il re lo nominò allora corrispondente diplomatico presso gli emigrati francesi a Losanna. Da questa cittadina prese avvio, nel 1797, la sua carriera di colto osservatore della politica allorché il conte pubblicò le proprie analisi sulla Rivoluzione francese, ovvero quel Considerazioni sulla Francia che forse è l'opera di argomento politico più teologica mai scritta. Inizia così: «Siamo tutti legati al trono dell'Essere supremo con una catena leggera, che ci trattiene senza asservirci», risposta a «l'uomo nasce libero e dappertutto è in catene» di Rousseau.

PROVVIDENZA O CASUALITÀ

Diversamente dalle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Burke, testo che mette in guardia nei confronti della rivoluzione, il maistriano Considerazioni sulla Francia illustra l'esito inevitabile della rivoluzione e come essa segua un ciclo proprio senza curarsi delle intenzioni dei suoi capi. «Non sono gli uomini che guidano la rivoluzione, è la rivoluzione che uso gli uomini».

Tuttavia, quanto sta oltre il controllo degli uomini è saldo nelle mani di Dio: ne deriva che la rivoluzione è un castigo divino a punizione della Francia per il peccato di philosophisme e addirittura a punizione degli stessi capi rivoluzionari con la severità che essi meritano e che una monarchia restaurata non avrebbe la determinazione di praticare. Quando Maistre medita sulla storia cercando di discernervi la mano della Provvidenza, opera una teodicea cristiana tradizionale diversamente da un Hegel che invece la teodicea deforma in una scienza della causalità.

Nel sesto capitolo di quell'opera, Maistre formula tredici massime relative alle costituzioni («Una qualsiasi assemblea di uomini non può costituire una nazione»; «Non è mai esistita nazione libera che non avesse nella sua costituzione naturale germi di libertà antichi quanto lei»; «Nessuna costituzione è il risultato di una deliberazione»; e così via).

La maledizione del XX secolo è stata costituita dal fatto che uomini politici «illuminati» come Woodrow Wilson hanno cercato di fondare degli Stati-nazione per i vari popoli del mondo tracciando semplicemente qualche riga sulle mappe e costruendo governi di carta. Maistre propone i suoi tredici punti non come princìpi scientifici, ma come segni per mezzo dei quali «Dio ci avverte della nostra debolezza». Inoltre, dà allo scienziato della politica la sua giusta dimensione: Montesquieu (quantunque il savoiardo lo abbia in elevata stima) sta a Licurgo come un grammatico sta a Omero.

Curiosamente Isaiah Berlin sostiene che, agli occhi di Maistre, la fondazione degli Stati Uniti d'America (The American Founding) e la Rivoluzione francese sono state analogamente prodotte da un «ordine satanico». Ciò che invece il conte afferma è che il caso nordamericano non giustifica le repubbliche costruite in modo artificiale. «L'elemento democratico» della Costituzione statunitense — egli dice— esisteva già da secoli nella Costituzione della madrepatria britannica. Benché dubitasse della stabilità del regime nordamericano, riteneva che da esso si potesse imparare ancora ben poco giacché si trattava di un "[...] bambino in fasce: lasciatelo diventare grande».

Mentre Maistre non credeva che gli statunitensi sarebbero riusciti a costruire una capitale ex nihilo (e, nella misura in cui Washington non regge il paragone con Londra e con Parigi, aveva ragione), egli dovette il suo capolavoro finale ad anni trascorsi in un'altra capitale artificiale, analogamente costruita sopra una palude benché per decreto di un autocrate e non per delibera di un comitato. Il capolavoro è Le serate di Sanpietroburgo (1821), opera che sviluppa le problemàtiche speculative contenute in Considerazioni sulla Francia: i paradossi della giustizia e del potere, nonché i misteri della provvidenza, del castigo e del sacrifio.


SANPIETROBURGO

II testo contiene molte finezze letterarie. Maistre descrive in modo affascinante la sontuosa città che risplende sulle rive del fiume durante le «notti bianche» d'estate ed evoca la presenza quasi divina di Pietro il Grande: la statua equestre di Pietro stende il braccio terribile sui discendenti dei sudditi che egli «creó» e l'estensione delle mura cittadine evidenzia un colossale perimetro originariamente tracciato dal suo «audace dito». (La semidivinità dei fondatori è, naturalmente, una tematica tìpicamente maistriana. I teofobici philosophes, incapaci di fondare alcunché di durevole, ne sono l'esatto contrario.)

I personaggi dei dialoghi di cui si compone Le serate di Sanpietroburgo sono un conte che assomiglia a Maistre, un soldato francese che assomiglia al cavalier de Bray (l'ambasciatore bavarese) e un senatoro russo che potrebbe essere Tamara, il consigliere privato dello zar. Vi è anche un quarto interlocutore, un finto «curatore», che fornisce sia le note a piè di pagina, sia le annotazioni a fine testo, il quale commenta la discussione e corregge le citazioni e le allusioni fatte dai protagonisti. Questo artificio è parzialmente spiegato dal fatto che, in quanto statista attivo, Maistre pubblicò la maggior parte delle sue opere in forma anonima. Ma la molteplicità delle voci o delle personae impedisce di attribuire le opinioni de Le serate di Sanpietroburgo a Maistre: se, cioè, si è studiosi onesti.

Attraverso il «conte», personaggio dei dialoghi che esalta ironicamente il boia come «l'orrore e il legame dell'associazione umana», Maistre esplora il paradosso morale della sovranità: il potere di vita e di morte dello Stato, intrinsecamente assoluto addirittura a dispetto delle limitazioni costituzionali. Ma al savoiardo i boia creavano lo stesso disagio che a chiunque altro; egli non l'invitò mai a cena, ne donò loro una casa di riposo. E là dove il boia viene definito «la pietra angolare della società», si tratta di parole ipoteticamente proferite da un extraterrestre così come se lo immagina il senatore russo. Pronunciatesi sui boia (che uccidono qualche criminale) e sui soldati (che uccidono tanti esseri umani innocenti come lo sono essi stessi quanti più possono), l'extraterrestre conclude che il boia è una figura onorevole laddove i soldati dovrebbero essere invece coperti d'insulti. Non c'è bisogno di dire che solo un extraterrestre potrebbe trarre questa conclusione. E solo un progressista illuminista che ritiene i conservatori dei sadisti politici riterrebbe che l'extraterrestre parli senz'altro per bocca di Maistre.
L'extraterrestre introduce le riflessioni che il senatore russo dedica alla guerra: come la rivoluzione, essa è un altro cicco meccanismo di massa che la provvidenza divina usa per raggiungere fini ignoti all'uomo. Attraverso questa oscurità, gl'interlocutori percepiscono le leggi spirtuali che riguardano l'equilibrio fra il male e il castigo contrapposto alla compensazione della riparazione e al sacrificio sostitutivo, leggi incorporate nel cosmo e rivelate in tutte le religioni: perché «questo mondo è un sistema di realtà invisibili manifestate in maniera visibile» (così la traduzione maistriana della Lettera agli Ebrei 11, 3). Il Calvario e l'Eucaristia hanno reso queste leggi tanto esplicite quanto esse lo possono essere per noi in questa vita. I critici progressisti di Maistre non svengono alla vista del sangue, ma quando egli nomina Dio.

Maistre cerca di difendere il cristianesimo, cosi come quanto la sapienza classica ha da dire sulla natura umana, e lo fa attraverso la comparazione, delle religioni. Le serate di Sanpietroburgo affermano non esistere alcuna religione, e neppure alcun credo universale del genere umano, che in una qualche maniera non sia vera: lo stesso per tutti i miti pagani.

Per i lettori seri, la domanda che si pone verte sul fatto se Maistre fondi quest'affermazione su una teologia del logos o su una dottrina della rivelazione originaria. Gli uomini conoscono ovunque il medesimo Dio perché la ragione umana partecipa universalmente alla ragione di Dio, oppure Dio ha creato l'uomo come un vaso intellettualmente vuoto che non conosce alcunché eccetto quanto rivelategli da Dio stesso?

LA RELIGIONE NATURALE

Un approccio rispetta il paganesimo quale prodotto di rivelazione naturale, l'altro lo tratta come il resto decaduto e pervertito di un'unica rivelazione soprannaturale, sebbene le immagini e le ombre testimonino ancora la verità. Maistre tende a spiegare le forme rituali del paganesimo attraverso la rivelazione originaria perché il sacrificio e la riparazione sono dottrine comuni a tutte le fedi, ma superano la portata della ragìone. Dall'altra parte, egli trova la maggior parte del cristianesimo e molto del paganesimo notevolmente ragionevoli, cosa che se egli fosse un «irrazionalista» non potrebbe fare. Le sue «idee innate» di tipo platonico possono essere solo manifestazioni del logos.

Ciononostante, la critica associa ingiustamente Maistre con una scuola di nominalisti radicali (compresi Bonald e Lamennais) che affermavano in maniera categorica la dottrina della rivelazione originaria e i cui insegnamenti sono stati censurati dalla Chiesa cattolica come «tradizionalismo». La traduzione inglese completa de Le serate di Sanpietroburgo condotta da Lebrun può contribuire a dissipare questa confusione mettendo in grado gli anglofoni di considerare i concetti maistriani nel loro contesto globale.

In che modo un teologo del logos può essere autorevole per degl'ideologi nazionalisti moderni che considerano la religione come l'essenzialmente falso, ma necessario (e forse «esteticamente vero») collante culturale e politico della civiltà?
Perché lo sia, egli deve venire deliberatamente travisato. Maistre intende giustificare alcune credenze false o dubbie in quanto moralmente benefiche: fra queste, vi sono le superstizioni dei devotì (che sono «gli avamposti fortificati della religione») e anche le elucubrazioni soggettive dei curiosi (esoteristi dilettanti come il senatore russo) che cercano di cogliere la trama della storia e di scoprire significati reconditi nella Sacra Scrittura, o addirittura di cimentarsi con la teosofìa.

UN MANIFESTO ANTICRISTIANO

Ma, a fronte di tutto ciò, è come se Maistre proclamasse che il cristianesimo conserva efficacemente l'ordine civile solo perché è fondamentalmente vero; il suo Stato cristiano ideale difende i dogmi a motivo della loro intrinseca verità.

Alcuni anni fa, l'alfiere della Nouvelle Droite, Alain de Benoist, pubblicò un manifesto anticristiano che promuoveva cinicamente il paganesimo e la purezza etnica, e lo illustrò con l'effige del conte savoiardo: un gesto ideologico [nota 11]. Il fìttizio Maistre di Benoist appare uguale a quello di Berlin: in questo modo è Benoist a incarnare l'incubo di Berlin, non Maistre. Nella parte finale, il saggio maistriano di Berlin è istruttivo nella misura in cui mostra come il progressista sia un uomo che si fa da sé cercando d'ignorare il mondo delle relazioni date e naturali della famiglia e della società che rendono gli esseri umani tali.

L'elaborazione di un io assolutamente autonomo è opera di una ragione pura e di una volontà dotata di energia infinita; tuttavia, egli ritiene giustificato questo sforzo perché vero è tutto il peggio affermato da Freud e da Sade circa le pulsioni che originano le relazioni umane. Qui sorge, dunque, la lotta manichea fra la «luce» cosmopolita e razionalistica dell'Illuminismo e la «tenebra» gretta ed emotiva del conservatorismo.

Nel prendere in considerazione la spontaneità creativa, il conservatore caricaturale di Berlin vede solo il caos e il suo apprezzamento dell' «ordine» ne è solamente il contrario statico nella misura in cui quel conservatore mira a imbrigliare le tendenze incestuose e masochistiche dell'uomo allo scopo di realizzare appunto l'ordine.

Per questo è Benoist l'ombra che Berlin immancabilmente scorge dietro il conservatore caricaturale e oltre la quale non è in grado di vedere il vero Joseph de Maistre. Berlin condude che il totalitarismo funziona, che non scomparirà mai e che Maistre ne è stato il profeta: questo l'inatteso complimento che Berlin rivolge al conte. Voltaire e Maistre hanno screditato con successo il progressismo sentimentalistico, ma fingere di credervi è l'unica alternativa proposta da Berlin.

L'«ordine» di Maistre è dinamico e pluridimensionale, si autocorregge mediante la conflittualità, si rinnova da sé attraverso la successione delle generazioni, è radicato nelle profondità della storia, viene limitato dalla natura ed è incontrollabile eccetto che da Dio. I suoi rapporti di subordinazione si basano sulla gerarchia dei beni e lo guidano l'amore verso le persone nonché l'amore razionale verso il bene.

FEDE E SCETTICISMO

Forse un pensatore spiritualmente aperto resisterebbe alla voglia di spiegare quest'ordine in modo sistematico. Da persona che non ritiene la soluzione finale della crisi della civiltà pesare sulle proprie spalle (come se questo fosse mai possibile per alcuno), Maistre può permettersi il lusso di esprimersi in forma letteraria. In questo modo—come accade con Burke (quantunque Maistre derivi solo appena da Burke) —, è necessario faticare molto per enuclearne i princìpi.

Un giorno spero d'incontrare un docente di scienze politiche dalle vedute di così ampio respiro da insegnare il costituzionalismo a partire dai tredici punti contenuti nelle Considerazioni sulla Francia e in grado di armonizzare i saggi raccolti come Il federalista di Madison, Hamilton e Jay con il Saggio sul princìpio generatore delle costìtuzioni politiche e delle altre istituzioni umane del conte savoiardo. Così come il Leviatano, i Trattati sul governo civile e l'Esprit des lois, Le serate di Sanpietroburgo sono parte del sillabario di base della scienza politica. Se si mira a una riflessione politica conservatrice autenticamente radicata nel cristianesimo patristico, e non solo a una semplice riedizione del fìdeismo democratico «neo-ortodosso», Maistre può mostrare come fare per unire, in tema di regimi costituzionali, fede agostiniana e assennato scetticismo (non disillusione disperata). •

Thursday, July 8, 2010

L'arroganza revisionista


In his 1999 book, Marxist Angiolo Gracci lists the four principal strategies of the Right's "revisionist culture," in all their deviousness: (1) isolating and blocking the Revolution's expansion, (2) corruption and absorption of the revolutionary leadership, effectively "decapitating" it, (3) weakening and "social eradication" of the masses, and (4) "disperson and manipulation of memory" or "historical cancellation." The fourth agenda item is the particular strategy of the evil writers and editors of Percorsi with respect to the short-lived Neapolitan revolution of 1799 and its martyrs.



My particular crime against the people is self-evident in the quotations he culls from the above essay:


Yes, Maistre's personae in the St Petersburg Dialogues do explore that parodox of sovereignty, the"the life-and-death power of of the state, inherently absolute, even inspite of constitutional limitations." But, as I say in the essay, it is Isaiah Berlin who concludes—as a liberal who thinks himself a realist and as a misreader of Maistre looking for scapegoats in history's ideational chain of causation—that "totalitarianism works; it is here to stay; Maistre was its prophet." Surely I could not expect fairer textual treatment from the Huffington Post.

No doubt the editors' iniquitous use of "finestre" foreshadows the "defenestrazione" of Marxist scholars in the coming neo-fascist counter-revolution.

In my only other direct experience of Italian radicals, I met grad students who had come to Chicago to research their dissertations on the Haymarket riot. And how many dissertations on the Haymarket riot does Italian Marxist scholarship need?